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Un grido nel buio - III parte

di Ornella Albanese
Romanzo breve
pubblicato su GIOIA

Myrtle aprì adagio gli occhi e le sembrò di riemergere da un pozzo profondo. Li chiuse e poi li riaprì di nuovo per abituarsi all’oscurità. Quindi allungò la mano verso la lampada.

Incontrò invece una parete ruvida e allo stesso tempo captò qualcosa di strano che le diede come una vertigine.

Dove sono?, pensò sollevandosi a sedere. Il letto era duro ed era avvolta solo da una coperta.

- Kenneth, dove sono? – La sua voce aveva un suono strano. – Kenneth! – chiamò più forte, impaurita.

Fa troppo freddo, pensò. Sono in una cantina.

Sconvolta da quel pensiero, cercò di scendere dal letto, ma qualcosa la trattenne.

Con mani tremanti si tastò una caviglia e trovò il freddo di una catena.

- Kenneth!! - urlò. – Kenneth, dove sei?

Si alzò piano e mosse qualche passo. Era ancora in camicia da notte e aveva freddo. Si mosse con le mani in avanti, ma dovette fermarsi presto perché la catena la bloccava.

- Kenneth! – chiamò ancora, ma la sua voce suonò stridula, irriconoscibile nel buio vischioso che l’avvolgeva. Tornò adagio sul letto, si avvolse nella coperta e rimase lì, immobile, incapace di formulare un solo pensiero coerente, paralizzata dall’orrore.


Dopo i primi giorni di precauzioni ossessive, Kenneth cominciò a rilassarsi, abituandosi alla situazione pericolosa che stava vivendo.

Scendeva in cantina due volte al giorno con il vassoio del cibo, al mattino, prima che arrivassero cuoca e cameriera, e la sera, dopo che erano andate via.

Scendeva rapido, richiudendo tutte le porte dietro di sé, e mentre infilava la chiave nel lucchetto avvertiva un’emozione strana nel sentirsi protagonista di quella storia. Un protagonista crudele.

Anche quando aveva ospiti, per esempio, non dimenticava di mantenere un atteggiamento triste e severo, come si conviene a un vedovo recente, ma al tempo stesso avvertiva una sensazione quasi esaltante all’idea che la padrona di quella casa era chiusa dentro una cantina e lui era l’unico a saperlo.

In realtà era proprio come se fosse morta, come se fosse davvero nella cappella di famiglia.

Myrtle aveva urlato e pianto, quando era sceso giù la prima volta, ma lui le aveva rivolto solo poche parole brusche.

illustrazione del romanzo: Un grido nel buio

- Stai calma. Non è una situazione che durerà per sempre.

Le aveva portato un vestito pesante, libri e giornali.

- Ma questa catena! – aveva urlato lei. – Perché mi tieni qui? Sei forse impazzito?

- Ti ho detto di stare calma, tesoro, o avrai un crollo nervoso – l’aveva interrotta lui, calmissimo, e poi era uscito. Le grida di Myrtle erano diventate quasi dei bisbigli quando aveva chiuso la porta.

E adesso aspettava di scendere giù in cantina con una strana trepidazione. Il suo ruolo di carceriere era quasi esaltante. Vedeva Myrtle inquieta e smarrita come non lo era stata mai nella loro vita insieme, oppure con un’aria di sfida che lo eccitava. Forse si stava innamorando di nuovo di lui e lui volentieri avrebbe evitato di ucciderla ma, giunti a quel punto, era un rischio troppo grande. Kenneth avrebbe seguito fedelmente il copione: una volta trascorso un lasso di tempo ragionevole, l’avrebbe uccisa e avrebbe fatto sparire il corpo senza portarlo fuori dalla casa.

Anche se si prendono tutte le precauzioni possibili, c’è sempre qualcuno che può vedere o sentire e lui aveva molta paura degli imprevisti. In fondo era solo un piccolo uomo un po’ vigliacco che una serie di coincidenze avevano reso inaspettatamente temerario.


Greg Heston uscì dalla porta girevole dell’unico albergo del paese e andò verso la macchina.

– L’unico studio legale qui è quello di George Porter – gli aveva detto il portiere, e adesso vi si stava dirigendo.

Aveva affrontato un lungo viaggio e voleva vederci chiaro. Anche se forse non ci sarebbe riuscito, visto le pochissime cose che sapeva di lei.

Conosceva solo il suo nome, sapeva che lavorava come impiegata in una banca e che era tornata a casa per qualcosa di importante da stabilire col suo legale. E basta.

Ti telefono appena arrivo, gli aveva detto, e invece di lei non aveva saputo più niente. Niente per due settimane. Probabilmente aveva voluto lasciarlo, forse aveva un uomo, forse un marito. Era stato questo il primo pensiero di Greg Ma poiché non riusciva a liberarsi del ricordo di Myrtle Norman, aveva fatto ricerche nella cittadina in cui lei gli aveva detto di abitare. Nelle due banche locali, però, non c’era nessuna impiegata con quel nome e nell’elenco telefonico non esisteva il cognome Norman. Sembrava sparita nel nulla ed era la donna che lui amava.

- No – gli disse George Porter. – Myrtle Norman non è tra le mie clienti.

- Non posso crederlo! – affermò Greg con forza. – Mi ha detto che tornava a casa per consultare il suo legale e lei è l’unico legale qui.

- Non so davvero cosa dire. Nessuna cliente a nome Norman, glielo posso assicurare. Però aspetti, la sua amica forse si riferiva a Charles Mitchell. Abita qui anche se ha lo studio legale in città. Provi da lui.


Il vecchio Charles scrutò attentamente al di sopra degli occhiali quel giovanotto alto e biondo, con vividi occhi azzurri e la pelle abbronzata. – Norman dice? Myrtle Norman? Escludo di conoscere questa signora.

- E’ tornata qui circa dieci giorni fa per parlare col suo legale. Mi sono già rivolto all’avvocato Porter e adesso con lei sto facendo il mio ultimo tentativo per rintracciarla. E’ proprio sicuro di quello che afferma, avvocato Mitchell?

- Sicurissimo – disse Charles con quel suo borbottare astioso che era diventato con gli anni il suo tono naturale. – Me ne ricorderei sicuramente perché Myrtle è un nome che mi è molto caro. Una mia cara amica si chiamava Myrtle. Ma non Norman.

- Myrtle come? E’ possibile che mi abbia dato un cognome falso. Com’era la sua amica? Una ragazza alta, bruna, con splendidi occhi chiari?

- Sì – annuì Charles – Proprio così. Splendidi occhi chiari. Però lei è fuori strada, giovanotto. Lei mi parla di dieci giorni fa, mentre la mia Myrtle è morta da più di un mese.

Il viso del vecchio Charles si contrasse in una smorfia dolorosa.

- Mi dispiace – disse Greg – Vedo che non può aiutarmi e quindi è il caso che me ne vada.

Si strinsero la mano in modo insolitamente caloroso per due persone che si erano appena conosciute.

Il vecchio Charles lo accompagnò alla porta e lì gli disse, d’istinto: - Ha per caso una foto della sua amica?

- Una foto di Myrtle? No, nessuna.

- Torni dentro, la prego. Quando ha conosciuto Myrtle e dove?

Greg raccontò di averla incontrata in un paesino sul mare dove lui era in vacanza. Una ragazza bellissima, con gli occhi tristi di chi ha qualcosa da dimenticare. All’inizio era stata molto fredda e lui aveva dovuto far ricorso a tutto il suo fascino e al suo senso dello humour per strapparle un appuntamento. Ma presto quella storia aveva preso la mano a entrambi, li aveva coinvolti così tanto che non poteva non essere amore. Poi Myrtle aveva detto di dover andare via per qualche giorno e invece si era dissolta nel nulla.

- Lei l’ha incontrata proprio nel periodo in cui è morta la mia amica – disse Charles pensieroso. – E Myrtle stava andando in vacanza quando ha avuto l’incidente, e aveva qualcosa da dimenticare. Un matrimonio sbagliato. La sua auto era un pezzo di carbone in fondo a una scarpata e nessuno aveva motivo di dubitare che ci fosse lei, al posto di guida.

- Prima di andare avanti con le ipotesi – lo interruppe Greg – cerchiamo di stabilire se stiamo parlando della stessa persona. Ho veramente bisogno di una sua foto.

- Una foto, mi lasci pensare... Bene, venga con me, so dove possiamo trovarla.


Kenneth chiuse la porta. Il pianto convulso di Myrtle non si sentiva quasi più, era lontano e ovattato.

Aveva avuto una crisi di nervi. – Io impazzisco qui dentro! – aveva urlato. – E voglio sapere che cosa hai in mente!

Lui non aveva risposto ed era uscito. Adagio percorse il corridoio e cominciò a salire le scale. La situazione si stava facendo pesante, doveva prendere una decisione. Immerso nei suoi pensieri, giunse in cima all’ultimo gradino, preparò la chiave per chiudere la porta, alzò lo sguardo e vide Charles Mitchell fermo nell’atrio della sua casa.

E non era solo.

Kenneth trasalì.

L’errore, pensò. Ho commesso l’errore. Oggi non ho badato a chiudere la vetrata d’ingresso prima di scendere giù.

Non era mai accaduto prima.

- Sono subito da voi – disse, e la voce gli uscì soffocata.

Volse le spalle e infilò la chiave nella serratura, ma a fatica perché la mano gli tremava.

E’ da pazzi, pensò furioso. Prendere tutte le precauzioni possibili e poi lasciare aperta la porta di casa.

- Ci scusi – disse il vecchio Charles – Ma non rispondeva nessuno e allora abbiamo approfittato della porta aperta.

- Ero in cantina – si affrettò a spiegare Kennet con tono ansioso. – Non per prendere dei vini... Infatti non ne ho. Sono sceso per cercare... Insomma, ero laggiù e non vi ho sentiti. Andiamo in sala a bere qualcosa.

Non sapeva gli altri, ma lui aveva davvero bisogno di qualcosa di forte.

In sala Charles si inventò che Greg era interessato alla villa.

- Questa villa? La villa di Myrtle? – si stupì Kenneth, che stava riacquistando il suo sangue freddo. – No, mi dispiace, non ho nessuna intenzione di vendere. – E buttò giù in un unico sorso il suo scotch.

Un quarto d’ora dopo i due uomini erano di nuovo in auto.

- L’ha vista? Ha visto la foto che le ho indicato? – chiese Charles con impazienza.

- Certo. L’ho guardata bene ed era proprio lei. La donna che sono venuto a cercare.

Il vecchio Charles era pallido e il labbro gli tremava impercettibilmente. – Allora Myrtle non è morta. E’ l’unica spiegazione. C’era qualcun altro nella sua auto. Ma lei dov’è?

- Mi spaventa pensarlo – disse Greg, con gelida furia. – Ma l’unica cosa logica che mi viene in mente è che suo marito l’abbia uccisa per non perdere l’eredità.

- Se l’ha fatto... – La voce di Charles fremeva. – Giuro che io ammazzo lui.

Greg inchiodò appena fuori il cancello e accostò l’auto.

- Quella cantina – disse. – Ha notato come Hughes si è spaventato nel vederci? Ha cercato di giustificare la sua presenza laggiù. Anche se non aveva nessun motivo di farlo. Voglio andare a vedere cosa c’è là dentro.

- Aspetti. Telefoniamo prima alla polizia.

- Chiami lei la polizia. Mi troverete lì.

Greg scese dall’auto e tornò di corsa verso la villa. Hughes aveva messo le chiavi della cantina nella tasca della giacca, lo ricordava bene. Adesso lo vide sotto il portico, fumava seduto su una poltrona di vimini e non aveva la giacca. Greg pensò che poteva averla lasciata in sala.

Scivolò rapidamente verso la vetrata, sperando che fosse ancora aperta. E infatti era così. Entrò nell’atrio, lanciò uno sguardo alla porta della cantina, poi andò in sala. La giacca di Hughes era sul divano. La prese in fretta, attento che l’altro non lo vedesse attraverso i vetri, trovò il mazzo di chiavi e con quello tornò alla porta della cantina.

Riuscì ad aprire dopo due tentativi e scese cautamente la stretta scala.

In fondo accese l’accendino e capì subito di aver sbagliato. La cantina era enorme. Non sarebbe riuscito a perlustrarla solo con quella piccola luce. Anche perché non aveva la più pallida idea di cosa cercare.

Nel grande locale si affacciavano tante porte. Ne aprì una, poi un’altra. Erano piene di bottiglie. La terza era vuota. La quarta chiusa con un lucchetto. Guardò le altre. Nessuna aveva il lucchetto.

Riprese il mazzo delle chiavi e fece un paio di tentativi. Aveva fatto il primo giro nella serratura quando udì aprirsi la porta.

Spense l’accendino.

- Chi c’è lì? C’è qualcuno là sotto? – Era la voce affannata di Hughes.

Un rumore di passi giù per le scale e un fascio di luce puntò dritto su di lui. Questo significava che aveva cercato subito quella porta.

Greg sganciò il catenaccio e cercò di tirarlo.

- Cosa sta facendo qui sotto? – lo affrontò Hughes, gettando a terra la torcia e puntandogli contro un fucile da caccia. – E’ interessato alla mia collezione di vini?

La torcia rotolò fermandosi contro la parete e continuando a illuminare la stanza.

- La sua collezione di vini è lì dentro? Me la faccia vedere!

- Che bastardo! Ti sei introdotto in casa mia e posso anche spararti.

- Non lo farai – ringhiò Greg in risposta. – Avresti troppe cose da spiegare, poi.

Hughes mosse il fucile minacciosamente. – Sei dentro la mia casa e non ti conosco. Sarai solo un ladro a cui ho sparato per difendermi.

- Dimentichi che Charles Mitchell mi sta aspettando fuori?

Fu in quel momento che si sentì il grido. Soffocato ma percettibile. – Sono qui. Aprite!

I due uomini si guardarono per un lungo istante. Il viso di Kenneth era spettrale, al riflesso della torcia, i suoi occhi vitrei.

- Io l’amo – sussurrò poi. Era quella la difesa a cui aveva pensato, se mai l’avessero scoperto. L’unica possibile. – L’ho fatto per amore.

Le sue parole si persero nel suono lacerante della sirena della polizia.

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