Era bizzarro che Federico, in mezzo ai mille eventi della sua vita e alle innumerevoli curiosità a cui trovare risposta, conservasse un angolo della sua memoria per un bambino che amava i falconi.
Matthias aveva avuto tre volte il privilegio di parlargli.
La prima volta quando la sua esuberanza di fanciullo lo aveva reso audace e così aveva osato rivolgergli domande sui quei rapaci misteriosi che lo affascinavano. L'imperatore era solo, sul camminamento delle mura. Capitava raramente che non fosse accompagnato, e gli era sembrata un'occasione irripetibile. Lo aveva raggiunto e si era fermato a osservare la sua espressione intensa. Guardava lontano, forse più lontano dell'orizzonte, aveva pensato. E d'altra parte l'orizzonte per Federico esisteva solo perché fosse superato. Il suo sguardo si spingeva sempre oltre. Oltre le montagne, oltre la nebbia che rendeva ogni confine labile e inconsistente, addirittura oltre il mistero del cielo. Non esistevano limiti nella sua vita, così come non esistevano nella sua mente, ma questo lui lo aveva capito col tempo. Quella volta aveva solo delle domande da porgli, su quei rapaci dai piccoli occhi minacciosi e dal rostro temibile che però ubbidivano docili ai suoi ordini.
La seconda volta che gli aveva parlato era stato qualche mese prima. Federico lo aveva fatto chiamare per affidargli quell'astore giovanissimo e indocile.
«Ami ancora i falconi?» gli aveva chiesto.
Matthias aveva annuito senza trovare la voce per rispondergli.
«Mi hanno detto che non sei mai stanco di stare dietro al mio falconiere per imparare. Ti affido questo astore. È un uccello difficile, bizzoso, ma sono sicuro che farai di lui un buon compagno di caccia.»
Lui era rimasto ottusamente zitto, non riusciva a credere a quello che aveva udito. «Lo farò» aveva detto poi, con il tono di un sacro giuramento.