Yusuf Hanifa si avviò verso il grande portale spalancato, e dal sagrato caldo di sole, passò alla piacevole frescura della chiesa. Si fermò un attimo, per abituare gli occhi alla diversa luminosità, ma ebbe subito la percezione della grandezza. Tutto, intorno a lui, era immenso. L'altezza del soffitto, sorretto da grosse travi di legno, la vastità delle navate, l'imponenza delle colonne. Poi abbassò lo sguardo e trattenne il respiro.
Yusuf Hanifa aveva viaggiato molto e aveva visto molte cose stupefacenti, ma niente che somigliasse neppure da lontano a quello che adesso aveva davanti.
Riprese fiato e osservò con calma. Era come se un enorme tappeto di pietra si fosse srotolato davanti a lui, fino a raggiungere il fondo della chiesa, animato da una moltitudine di immagini dai colori brillanti.
Tastò con il piede la prima parte del pavimento, con uno strato di malta ruvida perfettamente indurita, e si avvicinò al disegno al quale stavano lavorando alcuni mosaicisti inginocchiati.
Era un albero della vita, si stupì, un simbolo che apparteneva alla sua cultura. Ma quell'albero fioriva di uomini, animali, mostri e demoni, tutti colti in un gesto, in un contorcimento, in un impeto che li rendeva vivi.
Non c'era nulla di statico in quei disegni, l'impressione più forte era che la vita fosse stata imprigionata nella pietra. [...]
Nella cripta, il monaco era seduto a un tavolo ingombro di pergamene, dando le spalle all'ingresso, ma non lavorava. Gli occhi chiusi, la fronte tra i pugni serrati, sembrava abbandonarsi a un quieto sconforto. Trasalì al rumore dei passi e tirò verso di sé una di quelle grandi pergamene, mostrando di essere intento a studiarla.
- Sapete cosa penso, monaco Pantaleone? - disse Yusuf alle sue spalle. - Che il vostro Dio dovrebbe permettere tutto quello che serve per salvare la vita di un innocente.
- E' così - rispose Pantaleone senza girarsi. - Tutto quello che serve, purché non vada contro le Sue disposizioni.
Yusuf si indispettì. - Conosco uomini di chiesa che vengono continuamente a patti con la propria coscienza e con quelle disposizioni.
- Li conosco anch'io, ma non appartengo a quella specie.
Proprio sul suo cammino, pensò Yusuf, doveva capitare quel piccolo uomo imbevuto di rigore e di intransigenza. Lo ammirò, ma detestando di doverlo fare.
- Quello che dite vi onora, ma non è utile alla mia causa.
Pantaleone tornò ad appoggiare la testa sui pugni chiusi, il Saraceno poteva scorgere solo il suo profilo rigido e caparbio. Poi si raddrizzò di scatto e si girò verso di lui.
- E in ogni caso, perché siete venuto fin qui?> lo interrogò, piantandogli in faccia i grandi occhi febbrili.
- Per trovare la verità nel mosaico, stando a quello che avete detto. Tra le mie creature mostruose. Invece non avete neppure cominciato a cercarla.
Yusuf lo guardò sorpreso. - Cosa volete dire? - si stupì. - Che il mosaico… che i vostri mostri…
- La verità a volte sembra nascondersi bene, ma poi basta seguirne le orme con occhi attenti per trovarla.
- E la verità si è nascosta nel vostro mosaico?
Yusuf non riusciva a capacitarsi. Chi era quel monaco? Che rapporto aveva con i delitti?
Pantaleone gli volse le spalle, gli occhi di nuovo sulla pergamena. Erano disegni di alcune sezioni del pavimento, quelle in lavorazione. Yusuf capì che non avrebbe ottenuto altro da lui.
- Vi ringrazio, monaco Pantaleone - gli disse. - Se davvero la verità è dentro quel mosaico, i miei occhi attenti riusciranno a trovarla.